...Egli era il veterano dei naturalisti siciliani ed appartenne a quella generazione dei Tineo, dei Parlatore, dei Todaro che al sorgere delle nuove idee, quali astri luminosi, tanta luce e risveglio portarono alle scienze naturali... Luigi Failla Tedaldi
Francesco Minà Palumbo
Figlio di artigiano, passa l'infanzia a Castelbuono e lì riceve i primi insegnamenti. I suoi educatori non sono conosciuti, e poco si sa anche della sua vita privata e della famiglia che, seppure modesta è certamente di elevati principi.
Non è noto neppure come giunga a Palermo per studiare medicina alla Regia università. Qui, in compagnia di Agostino Todaro, Giuseppe Inzenga, Filippo Parlatore, Enrico Piraino di Mandralisca, Pietro Calcara e altri valenti studiosi, frequenta la scuola botanica di Vincenzo Tineo presso l'Orto botanico e di altri illustri studiosi come Domenico Scinà.
Diventa medico e nel 1835 e si trasferisce a Napoli per conseguire una specializzazione.
Nella capitale del Regno conosce i botanici Giovanni Gussone e Guglielmo Gasparrini, Oronzio e Achille Costa, padre e figlio, e altri valenti studiosi dai quali apprende le innovazioni scientifiche. Nel periodo napoletano acquisisce la tecnica tassidermica e quella iconografica.
Nel 1835 esegue le illustrazioni per i funghi del Regno di Napoli, rara opera di Vincenzo Briganti pubblicata postuma dal figlio Francesco. Grazie a ciò, forse, riesce a mantenersi nella capitale borbonica.
Rientra a Castelbuono poco tempo dopo e lì avvia l'opera incentrata nello svolgimento della professione di medico e naturalista volto a studiare e a far conoscenere il patrimonio delle Madonie, allora ancora sconosciute. La costanza in queste attività sarà la nota caratterizzante della sua vita.
Muore il 12 marzo 1899 in fama di filantropo per Castelbuono e per le Madonie e di studioso e divulgatore della storia naturale dei suoi monti per il mondo.
Nomi di specie e generi nell’ambito della botanica, zoologia e paleontologia dedicati al Minà
Il medico
Il naturalista
Il filantropo
10 marzo 1814
CASTELBUONO nascita di Francesco Minà Palumbo.ante 1835
PALERMO F. Minà Palumbo studia medicina a Palermo ;
Frequenta la scuola di Vincenzo Tineo nell’orto botanico di Palermo con Agostino Todaro, Filippo Parlatore, Giuseppe Inzenga, e altri studiosi con cui mantiene salda amicizia.1835
Dopo quasi due anni trascorsi a Napoli per approfondire gli studi medici e naturalistici, rientra a Castelbuono. Nella capitale aveva conosciuto Giovanni Gussone, Oronzio e Achille Costa divenendone corrispondente, e inoltre anche Gasparrini e Francesco Briganti per conto del quale disegnò i funghi del Regno di Napoli. Dopo il periodo napoletano il giovane Minà inizia l'esplorazione sistematica delle Madonie e avvia una fitta corrispondenza con gli studiosi italiani ed europei.1878
ADMONT. Gabriel Strobl pubblica, a puntate e in tedesco, la "Flora der Nebroden" basata principalmente sullo studio dell'Erbario di Minà Palumbo.post 1880
CASTELBUONO intitola una delle sue piazze principali a Francesco Minà Palumbo.13 marzo 1899
CASTELBUONO. Muore compianto da tutta la comunità locale e da quella scientifica.1949
Nel cinquantenario della morte dello studioso la Comunità castelbuonese appone una lapide al muro della casa del naturalista.
APPROFONDIMENTI
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MINÀ PALUMBO, Francesco
MINÀ PALUMBO, Francesco. – Nacque nel 1814 a Castelbuono, nell’entroterra di Cefalù, da Antonino Minà, falegname venticinquenne, e dalla sedicenne Teresa Palumbo, cugini entro il quarto grado; fu battezzato il 10 marzo col nome di Francesco Vincenzo, che ricordava quelli dei nonni, il defunto mastro Francesco Minà e mastro Vincenzo Palumbo. Castelbuono, centro rurale alle falde delle Madonie, contava circa 7000 abitanti e si era appena liberato del plurisecolare vassallaggio verso la potente famiglia dei Ventimiglia, marchesi di Geraci e principi di Castelbuono, grazie all’abolizione della giurisdizione feudale nel 1812. I Minà dovevano essere artigiani agiati da più generazioni e in forte ascesa economica e sociale, se il nonno Francesco nel 1764 aveva potuto costruire un sepolcreto familiare in una chiesa locale – segno di distinzione che consentiva di sfuggire alla fossa comune – e più tardi aveva sostenuto le spese per la laurea di un figlio, Angelo, e l’ordinazione sacerdotale di un altro, Emanuele, che al fonte battesimale fu padrino del Minà Palumbo. Lo stesso mastro Antonino era capace di leggere e scrivere. La presenza di un sacerdote in famiglia era di per sé indice di agiatezza, perché solo le famiglie benestanti potevano permettersi la costituzione del patrimonio necessario per l’accesso di un figlio in seminario. Nel clero secolare non c’era infatti spazio per i figli dei poveri, per i quali erano aperti soltanto i conventi degli ordini monastici, peraltro fortemente diminuiti dopo le soppressioni degli ultimi decenni del Settecento. L’ordinazione sacerdotale di don Emanuele era costata alla famiglia Minà ben 350 onze, su un patrimonio valutato nel 1803 in 1273: mastro Francesco evidentemente disponeva di diverse fonti di entrata, tra le quali sicuramente il lavoro di artigiano non era la più importante. Anche i Palumbo erano benestanti, forse più dei Minà, e anche Teresa aveva un fratello sacerdote, il canonico don Domenico, che – più che lo zio Emanuele – fu guida e primo maestro del piccolo Minà Palumbo. Nella Castelbuono del tempo, come altrove in Sicilia, all’origine dell’ascesa sociale ed economica di una famiglia c’era quasi sempre il servizio nell’amministrazione baronale o l’aiuto determinante di un parente sacerdote. Il passaggio di un membro di famiglia artigiana di «mastri» o di basso ceto al mondo delle professioni, quello dei «don», era infatti molto spesso mediato dalla presenza nell’ambito familiare di un sacerdote. Così accadde anche per il M., futuro medico e, in quanto tale, anche «don» Francesco. Con due zii sacerdoti il suo destino era segnato: sarebbe stato medico e non giurisperito, perché per i figli di artigiani di paese che accedevano all’università, senza quindi una tradizione familiare nel mondo delle professioni, la carriera di medico si presentava molto più agevole di quella di avvocato, anche perché aveva il vantaggio di poter essere esercitata nel paese natio. Dell’istruzione del M. si occupò privatamente lo zio don Domenico e forse anche un altro sacerdote, don A. Mogavero. È molto probabile che la passione del M. per la botanica risalga a quegli anni, favorita dalla presenza in paese del belga Maurimon, che curava per conto della famiglia Turrisi (quella della poetessa Giuseppina Turrisi Colonna, allieva di G. Borghi, e dell’economista agrario Nicolò Turrisi Colonna, poi senatore del Regno e più volte sindaco di Palermo) l’orto dell’ex convento dei domenicani («delizia di flora») nel quale condusse i suoi esperimenti botanici. Il M. si iscrisse alla facoltà di medicina di Palermo, dove conobbe F. Parlatore, più giovane sebbene più avanti negli studi, cui rimase sempre legatissimo, che riforniva costantemente di piante e al quale fece da guida nell’estate 1840 in un lungo viaggio sulle Madonie alla ricerca di «piante rare e peregrine», come il grande botanico ebbe poi modo di ricordare più tardi nelle sue memorie. L’anno precedente, nel 1839, il M. aveva conseguito la laurea in medicina e si era iscritto all’Università di Napoli, dove nel 1843 conseguì la specializzazione in chirurgia. Fatto ritorno a Castelbuono si dedicò intensamente alla professione di medico, ma trovò anche il tempo per compiere numerose opere di filantropia e coltivare con pari intensità le scienze naturali, in particolare la botanica e la zoologia, supportata dagli insegnamenti appresi nell’orto botanico di Palermo e nel laboratorio di zoologia dell’Università di Napoli, alla scuola rispettivamente di V. Tineo e O.G. Costa, autore della monumentale Paleontologia del Regno di Napoli (Napoli 1854-56): maestri dei quali fu assiduo corrispondente, così come del grande botanico G. Gussone – impegnato a Napoli nella raccolta di un’enorme mole di dati sulla flora dell’Italia meridionale, dopo avere fondato e diretto l’orto sperimentale di Boccadifalco presso Palermo (1817-27) – e di Parlatore, che intanto era stato chiamato a Firenze sulla cattedra di botanica. Sino alla morte il M. lasciò il paese natio solo per brevi viaggi. La successione di A. Todaro sulla cattedra di botanica e nella direzione dell’orto botanico palermitano, vacanti dal 1856 con la morte di Tineo, gli avrebbe consentito di occuparne provvisoriamente il posto di dimostratore di botanica, fortemente ambito anche da altri, tra cui il barone A. Porcari. L’Università di Palermo accolse la sua richiesta e, per facilitargli la sistemazione in città, gli assegnò addirittura l’intero soldo, provocando il ricorso di Porcari, il quale lamentò tra l’altro la presentazione che ne aveva fatto Todaro come di «una celebrità nelle scienze naturali, noto al mondo letterario e scientifico, che parecchie piante andavano pregiate dal suo nome, che suppone abbia fatto dell’escursioni scientifiche e possegga un erbario delle piante che vegetano spontanee sulle Nebrodi» (Cancila). Il ricorso di un altro concorrente, disposto a prestare servizio gratuitamente, convinse la commissione suprema di Pubblica Istruzione a rigettare la proposta dell’Università a favore del M., con la motivazione che «non può aver luogo […] attesa la condizione di doverglisi pagare lo intero soldo, quando è ben conosciuto che a’ provvisori debbonsi corrispondere la metà solamente» (ibid.). Tuttavia, in attesa dei concorsi, la commissione non accettò le richieste degli altri concorrenti, lasciando il posto vacante. Todaro non esagerava nella sua presentazione: il M., ormai apprezzato a livello europeo per le sue ricerche, sarebbe stato certamente il candidato ideale, ma non era nelle condizioni finanziarie di trasferirsi a Palermo con la metà del soldo, abbandonando la professione di medico. Il M. continuò dunque a vivere nel paese natio, dove da tempo aveva intensificato l’esplorazione sistematica delle Madonie e la raccolta di un immenso materiale (piante, animali, fossili, utensili, ecc.) per documentarne non solo la flora e la fauna, ma anche la geologia, l’idrologia, il clima e l’etno-antropologia. Un preciso programma scientifico il M. aveva messo a punto già nell’opuscolo Introduzione alla storia naturale delle Madonie (Palermo 1844; rist. anast., Castelbuono 1999), nella ferma convinzione che le Madonie, «abbondanti di naturali produzioni» ma scarsamente conosciute, meritassero «un esame particolare ed una esatta descrizione» per, dopo «la conoscenza topografica di tutta quella vasta superficie, passare alla ricerca, ed alla classazione degli oggetti appartenenti a’ tre grandi regni della natura» (ibid., p. 4). Nell’indicare i «lavori di Storia Naturale da intraprendere», egli si rendeva conto «che non può essere l’opera di uno solo di portarla a termine, richiedesi che molti scienziati si cooperassero alla bisogna, ciascuno illustrando quel ramo di scienza che con genio coltiva» (ibid., p. 5). Per portare a termine le sue ricerche il M. si era avvalso della collaborazione di contadini e pastori del luogo, spesso suoi pazienti, che facevano a gara per fargli omaggio dei materiali curiusi in cui si imbattevano. La sua attività era a dir poco frenetica; tornava dalle escursioni carico di piante, insetti, molluschi, rettili, minerali, fossili, e di quant’altro di interesse naturalistico fosse caduto sotto i suoi occhi. Quindi essiccava, imbalsamava, disegnava, classificava ogni cosa per inserirla nelle collezioni. I campioni critici erano messi da parte per venire inviati agli specialisti. Nel caso di piante, non era raro che il M. spedisse i campioni dubbi a Tineo, a Gussone e a Parlatore, mentre le orchidee erano destinate a Todaro che le stava studiando approfonditamente. Le piante gli ritornavano con le relative annotazioni. Nello stesso modo procedeva con le altre collezioni (Mazzola, 1994, p. 187). Con mano esperta, spesso corredava i reperti di bellissimi disegni acquerellati (restano più di 400 tavole, di cui oltre 200 di vegetali e 191 di uccelli, rettili e anfibi), di una parte dei quali si attende da ultimo la pubblicazione a cura di P. Mazzola: costituiscono un materiale iconografico di grande valore perché realizzati «da uno spirito d’artista dotato di profonda conoscenza naturalistica e di tecnica da pittore consumato, [… e] compensa[no], almeno in parte, il danno della perdita di alcune collezioni come quella degli uccelli dei quali rimangono ormai pochissimi esemplari imbalsamati. L’iconografia è importante anche nei confronti di piante difficili da conservare come i funghi […]. Dieci tavole sono dedicate ai macrofunghi, e vi sono rappresentate circa 80 specie in gran parte inedite» (ibid., p. 188). Col trascorrere degli anni le collezioni (oggi parzialmente conservate nel museo dedicato al M. nella natia Castelbuono) si arricchirono sempre più di nuovi reperti, che con non comune generosità il M. mise – come si è detto – anche a disposizione di studiosi italiani e stranieri, grazie a periodiche spedizioni oppure in occasione delle loro frequenti visite a Castelbuono. Già nel 1842 i suoi dati erano utilizzati da Todaro; anche Gussone aveva cominciato a servirsene (1842-44), mentre Tineo qualche anno dopo gli dedicava una nuova specie di geranio, il geranium minae (1846). E altre specie (fra cui vegetali, molluschi fossili, insetti) gli dedicarono P.G. Strobl, M. Lojacono Pojero, P. Calcara, A. De Gregorio, C. Rondani, T. De Stefani, a dimostrazione di stima ma anche per riconoscere quanto le loro opere dovevano alle sue ricerche e ai reperti da lui forniti. Al solo Parlatore, impegnato nell’organizzazione dell’Erbario centrale italiano di Firenze da lui fondato, fece pervenire ben 1168 campioni; e al grande etnologo G. Pitrè fornì numerosissimi dati su usi, costumi, tradizioni, malattie, feste, proverbi del paese natio. Alla raccolta e classificazione del materiale il M. presto affiancò l’attività pubblicistica. La sua prima nota naturalistica è una segnalazione a P. Calcara Su un fagiuolo pietrificato rinvenuto sulle Madonie (in L’Osservatore. Giorn. scientifico letterario siciliano, I [1843], 5, pp. 134-137). Numerosi testi (403 sono le sue pubblicazioni) seguirono nell’arco della sua vita. Si spazia dall’ornitologia (Catalogo degli uccelli delle Madonie, in Atti della Acc. di scienze e lettere di Palermo, n.s., II [1853], pp. 1-32; III [1859], pp. 1-45, che portò molte correzioni alla Ornitologia siciliana di L. Benoit, Messina 1840) alla erpetologia (Prospetto degli studi di erpetologia in Sicilia, Palermo 1863) e dall’entomologia alla geologia (fondamentali gli studi su «piogge rosse» cadute a Castelbuono e soprattutto sui terremoti delle Madonie); dall’archeologia, per illustrare i numerosi reperti preistorici da lui scoperti, all’economia agraria. I suoi cataloghi dei mammiferi delle Madonie, nonché il Catalogo dei mammiferi della Sicilia (ibid. 1868) «formano – è stato scritto – il corpo principale delle nostre conoscenze teriologiche dell’isola nel passato prossimo e sono uno strumento insostituibile per quanti vogliano capire qualcosa del popolamento recente dei Mammiferi nell’isola» (Sarà, p. XIII). Il M. è stato considerato un pioniere, un apripista verso discipline naturalistiche ed evolutive che allora muovevano i primi passi in Europa e che partiranno in Italia solo secondariamente e tardivamente (ibid., p. XV). Oltre quelle citate, fra le opere vanno ricordate ancora: Notizie sui frassini di Sicilia e sulla coltivazione dell’amolleo in Castelbuono (Palermo 1847); la ricca Raccolta di proverbj agrarj (ibid. 1854; rist. anast., Sala Bolognese 1986 e Palermo 1999: per il centenario della morte, con una presentazione di P. Mazzola e note introduttive di F. Lo Piparo - G. Ruffino); Storia naturale delle Madonie. Catalogo con appendice dei lepidotteri diurni, in Atti dell’Acc. di scienze e lettere di Palermo, n.s., III (1859), pp. 1-26; Paletnologia sicula delle armi in pietra raccolte in Sicilia (Palermo 1869); Monografia botanica e agraria sulla coltivazione dei pistacchi in Sicilia (ibid. 1882); Materiali per una fauna lepidotterologica della Sicilia, in Il Naturalista siciliano, VIII (1888-89), 1, pp. 1-37; 2, pp. 29-37; 3, pp. 57-62; 4, pp. 81-89; 5, pp. 105-115; 6, pp. 129-140; 7, pp. 153-164; 8, pp. 181-194; 9, pp. 202-202; Rettili ed anfibi nebrodensi, ibid., IX (1889-90), 3, pp. 68-71; 4, pp. 91-95; 11, pp. 257-261; X (1890-91), 12, pp. 279-283; XI (1892), 5, pp. 114-120; 9-11, pp. 239-252; XII (1893-94), pp. 262-264; Bibliografia sicula di scienze naturali: cenni, ibid., XII (1893-94), 1-2, pp. 1-12; 5-6, pp. 13-20; 7, pp. 21-28. Il M. morì a Castelbuono il 12 marzo 1899. Fonti e Bibl.: È fondamentale la biografia di G. De Luca, F. M.P. 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